La produzione mondiale di bivalvi per il consumo umano è di circa 15 milioni di tonnellate per anno e contribuisce per il 14% dei prodotti ittici che si trovano sul mercato. La maggioranza delle produzioni (89%) deriva da pratiche di acquacoltura e solo in minima parte dalla pesca su banchi selvatici. Questo implica una forte domanda di novellame per l’approvvigionamento degli allevamenti, che nella maggior parte dei casi viene soddisfatta dal recupero in ambiente naturale e in alternativa o in combinazione alla fornitura mediante riproduzione controllata (schiuditoio).
Nel contesto Nazionale la molluschicoltura emiliano-romagnola è la più importante quantitativamente e qualitativamente, è identificabile nell’allevamento su larga scala di due specie ed una terza in via di sviluppo. Le prime due sono produzioni consolidate, il mitilo, o cozza, (Mytilus galloprovincialis) e la vongola verace filippina (Ruditapes philippinarum). La produzione più recente, con quantitativi minori ma di alta qualità, è l’ostrica concava (Crassostrea gigas), coltivata in mare aperto e con possibilità di espansione anche negli ambienti lagunari.
La molluschicoltura, come per ogni altro tipo di zoocoltura, necessita di ingenti quantità di esemplari allo stadio giovanile della specie che si intende allevare: il seme o novellame. Questo il più delle volte può essere recuperato direttamente in ambiente naturale in un sito più o meno distante dall’allevamento. Le più importanti produzioni di bivalvi da allevamento su scala globale si basano su quest’ultima fonte di approvvigionamento, in genere più conveniente sotto vari punti di vista, soprattutto quello economico.
Su scala globale sono circa 400 le specie di molluschi che vengono sfruttate dall’uomo per scopi alimentari e di queste meno di un centinaio sono allevate. Ne consegue che tre su quattro di queste specie sono selvatiche, ovvero vengono pescate. È inteso che, affinché queste risorse si conservino nel tempo, è necessario mettere in atto una serie di misure volte alla loro salvaguardia. Questo tipo di approccio presuppone, non solo la difesa della risorsa, ma anche dell’habitat in cui essa vive e si sviluppa. Purtroppo nella maggior parte dei casi misure di tutela di una risorsa vengono adottate troppo tardi, ovvero quando la consistenza della risorsa stessa è già compromessa per vari motivi.
L’analisi della attuale situazione riguardo all’approvvigionamento di seme per le tre tipologie di molluschicoltura praticate lungo le coste dell’Emilia-Romagna ha messo in evidenza come elementi di criticità siano rilevabili solo per la venericoltura. Per la mitilicoltura e l’emergente ostricoltura, per ragioni diverse, il recupero del novellame al momento non costituisce un fattore limitante per le produzioni.
Per la mitilicoltura l’approvvigionamento dall’ambiente naturale è la soluzione attuale ed anche più affidabile da tutti i punti di vista. Tra le alternative individuate l’uso di collettori è tecnicamente fattibile, ma rimangono consistenti dubbi riguardo alla sua sostenibilità economica. L’alternativa schiuditoio non lascia invece alcuna incertezza dal momento che è troppo dispendiosa e conseguentemente impraticabile visto il basso valore del prodotto “mitilo” in sede di vendita.
Per l’ostricoltura regionale la fonte di approvvigionamento è lo schiuditoio nazionale ed estero. Le modeste dimensioni del comparto e di conseguenza il fabbisogno di novellame non giustificano una produzione esclusiva da schiuditoio, che invece potrebbe essere abbinata alla produzione di altri bivalvi, come la vongola verace. Le quantità richieste, anche in un ottica di espansione del comparto, sono comunque reperibili sul mercato a costi molto competitivi. Le soluzioni alternative individuate (collettori e/o banco naturale) sono entrambe perseguibili sul piano tecnologico, ma poco convenienti ed affidabili riguardo alle rese se confrontate con l’alternativa schiuditoio.
Dal lavoro svolto emerge che l’approvvigionamento di seme è un problema di cui soffre più che altro la venericotura. La riduzione del reclutamento degli ultimi anni è un fenomeno evidente di cui non si conoscono ancora le cause. Tale fenomeno non ha carattere locale, ma è diffuso a livello nazionale, per cui è probabile che le cause siano di carattere generale, tra le ipotesi la riduzione dello stato trofico dell’Alto Adriatico e la diminuzione degli stock nelle aree più a nord. Conseguentemente non è possibile fare previsioni per le prossime stagioni, ovvero se il fenomeno si inasprirà ulteriormente o si attenuerà.
Per queste ragioni è opportuno affrontare la problematica su entrambi i fronti; cercando quindi di comprendere le cause del “declino del seme selvatico” ed eventualmente intervenire per ridurne gli effetti ricorrendo a tutte le misure necessarie per compensare la scarsità di seme, compresa la fornitura da schiuditoio. Volendo destinare risorse economiche con l’obiettivo di mitigare il problema, sarebbe più sensato, in prospettiva dei risultati attesi, investire sul miglioramento della produttività delle aree nursery.